Poesia. Distese infinite di erba appassita

Distese infinite di erba appassita,
ed alti pioppi dal ghiaccio spogliati,
ricopron d’una veste un poco sgualcita
di un paese gli inverni dimenticati;

fumanti volute dal grigio colore
s’aggrovigliano nella nebbia vaporosa
e truci splendori permeano le ore
di questa cittadina cupa e silenziosa.

Canta il ruscello nel lungo bel fosso,
scorre l’uccello nell’alto suo spazio,
ma per la via non resta che un osso,
della primavera atroce suo strazio;

e se sboccia dal concime un fiore,
la natura scoppia in argentee risa;
sgorga la vita in un trionfo di colore,
ma la cittadina di morte resta intrisa.

Il sole ruggisce con magnificenza
sui palazzi decomposti e senza vita
e brilla, questo re in decadenza,
sopra un’estate che pare sbiadita;

mari di spighe si raccontano storie,
storie che hanno la voce del vento,
mentre la luce acceca le glorie
antiche di un mondo ormai spento.

I sentieri alberati son tinti d’arancio
e sanguinano sole le foglie dai pini;
svolazzano tutte in un unico slancio
in quest’autunno col suon dei violini;

e suonano forte pei vicoli morti,
per vie solitarie e strade leggiadre,
per la piazza e per il centro contorti,
nel desolato paese di mia madre.

Matteo Perotti, 5O