Prosa. La mia piccola galassia
Nel paese di mia madre vivo oramai da alcuni anni, esattamente quattro perché ricordo che lì mi sono trasferito dopo la conclusione della scuola primaria.
In realtà, è come se avessi da sempre abitato nella casa dove lei è cresciuta, in quanto sin da piccino sono stato affidato alle cure dei nonni materni che occupano l’appartamento sopra quello dei miei genitori, un tempo dei miei bisnonni.
La villetta in questione si trova sulla via principale ed al centro di una piccola località di campagna, frazione del Comune di Mulazzano, posta lungo il Canale Muzza.
Il suo nome è di antica origine; infatti deriva dalla distanza (quattro miglia) dalla città di Lodi, il capoluogo di Provincia.
Un amico di famiglia e storico locale, in un suo libro ha scritto che è stato un feudo temporale e che la chiesa parrocchiale riuniva tutta la comunità.
Ebbene, ancora oggi il campanile della chiesa di San Pietro Apostolo è il simbolo del paese, fotografato da molti appassionati perché vi nidificano le cicogne.
Per il resto, è un paese normalissimo, immerso nel verde della pianura lombarda che confina con il Parco fluviale e agricolo Adda Sud, circondato da altre frazioni che sono per lo più cascine, dai nomi curiosi e perciò veri e propri toponimi: Isola Balba, Sabbione, Vignazza, Casolta e Mongattino.
Sicuramente è cambiato nel tempo e non poco; di fatto, dalle storie che mi sono state raccontate, si è modificato soprattutto nella disposizione delle abitazioni, nell’ampliamento dell’unica via IV Novembre in tante viuzze o zone residenziali e, purtroppo, nella scomparsa dei minuscoli negozi che lo tenevano “vivo”.
Mamma, infatti, narra spesso delle sue scorribande in bicicletta, anche senza mani, per andare a comperare il sale o lo zucchero finito che, immancabilmente, serviva quando si decideva di fare la frittata contadina con la verdura dell’orto oppure la crostata con la marmellata di ciliegie fatta in casa.
Se quarant’anni fa c’erano due panetterie, due alimentari, una macelleria, una merceria, una falegnameria, una carrozzeria, una parrucchiera da donna, cinque osterie, l’asilo e la scuola elementare, oggi sono rimasti aperti un’edicola, una tabaccheria, un parrucchiere da uomo ed un panificio: ahimè, che tristezza, davvero un peccato!
Eh sì, perché le botteghe e i mestieri erano un richiamo per gli abitanti del paese, erano luoghi di aggregazione e l’occasione di incontri, anche fra generazioni lontane, fra vecchi dalla vitalità prorompente e bambini che attingevano dalle loro parole come a una riserva inesauribile.
La memoria di mamma è ancora popolata di figure indimenticabili, di personaggi che hanno dimostrato di valere, magari per il loro senso del lavoro, di fatica e attaccamento alla terra, o perchè sono stati protagonisti di episodi esilaranti e sorprendenti; mi piace e mi diverto sentirla parlare di Rosina, Pea, Annibale, Tonio e tanti altri.
Per abitare nel paese di mia madre, oggi, occorre avere la macchina; i servizi sono pochi e i pullman di linea sono diretti prevalentemente a Milano.
Nonostante ciò, a me piace molto viverci, perché è tranquillo e la cronaca, fortunatamente, finora, non ha ancora fatto registrare spiacevoli episodi di violenza o droga.
Conosco molta gente fra parenti ed amici e questo senso di socialità mi dà sicurezza, protezione.
Per coinvolgere gli abitanti stimolandoli a riunirsi ci pensa poi la proloco, l’infaticabile PQ, che con i suoi volontari si fa custode di molte tradizioni, di usi e costumi che nella zona hanno fatto parlare e continuano a far parlare del mio paese.
Le feste gastronomiche sono le occasioni migliori per le rimpatriate; così, annualmente, gli attuali residenti si incontrano con i vecchi che se ne sono andati per motivi familiari o professionali.
Si ritrovano per la festa di San Bassiano quando si cucinano le costine con le verze (la famosa cassoeula), per il pranzo di ferragosto, la grigliata di fine estate, per la festa di Ognissanti quando si distribuiscono caldarroste vin brulè e panini con salamella; infine, per la festa dell’Immacolata, che è l’apoteosi della gastronomia lodigiana, dal momento che il richiamo di trippa e polenta con gorgonzola accomuna tutti in una grande abbuffata.
Nonostante io sia un buongustaio, questi piatti tipici e antichi non sono il mio genere, ma ne apprezzo i profumi e mi piace vedere le grosse pentole accese, fumanti, abbondanti di cibo: è un’atmosfera che scalda, soprattutto il cuore.
Mamma mi ha raccontato che da bambina era il profumo del sugo di carne (cosiddetto ragu’) che gratificava il suo olfatto, non solo in casa ma anche per la via del paese, che allora era una sorta di binario tra due caseggiati laterali continui, composti ciascuno da tante porzioni di case, d’estate con le finestre spalancate e d’inverno serrate con i comignoli che scaricavano i fumi di grossi camini in pietra.
Pure l’adore acre della legna le piaceva e per me è la stessa cosa; per fortuna i miei nonni hanno un grande camino, mentre a casa mia la legna brucia in una grande stufa in ceramica, molto grezza.
Lo so, forse sono un po’ “antico” per certi miei modi di essere e fare; i miei compagni mi definiscono “uno degli anni Ottanta” ma io non mi offendo assolutamente.
Quindi, non nascondo neppure che il silenzio in cui talvolta è assorto il mio paese, mi delizia assai.
A chi proviene dalla città potrebbe sembrare malinconico e desolato; le strade sono spesso deserte e i rumori che giungono alle orecchie sono l’abbaiare dei cani o quello del passaggio dei trattori: a me personalmente trasmettono il gusto per le cose semplici, quasi d’altri tempi.
In tante abitudini, credo di vivere la campagna più o meno come lo faceva mamma alla mia età; succede, ad esempio, quando in estate mi reco a vedere gli affluenti della Muzza, i piccoli fossi o le cascatelle, le acque sorgive oppure, quando vedo gli aironi alzarsi in volo dai campi di granturco e frumento completamente gialli.
L’odore dell’erba è dominante e me lo faccio entrare nei polmoni, perché è il vero richiamo alla natura, alla vita in campagna: è bello soffermarsi in prossimità di un argine o al riparo di un grande albero e perdersi con lo sguardo nel verde smeraldo dei prati, talvolta in netto contrasto con l’azzurro turchese del cielo.
Non apprezzo così tanto l’odore del concime, ma è sporadico e va a zone, quindi lo sopporto.
Nonostante la mia allergia ai pollini, adoro anche il profumo dei fiori, in particolare quello delicato del glicine: i lunghi grappoli lilla impreziosiscono molte cancellate di cortili e finestre di rustici; sono talmente belli che mamma in casa li ha voluti dipinti su due quadri appesi all’ingresso, perché dice che quando andava dalle amichette, con quei fiori si ornavano i capelli.
Invece, a differenza mia, non rammenta di avere mai visto i tramonti che ultimamente rendono il paese una “cartolina” reale, direi tangibile: con le montagne nere della Bassa Bergamasca alle spalle, il paese spesso si infiamma di rosso e arancione, i miei colori preferiti.
A volte, pensando al mio futuro e a cosa vorrò fare da grande, mi sovviene l’idea che dovrò lasciare per lunghi periodi il mio paese e con malinconia sorrido, rimandando considerazioni e previsioni a quando sarà il momento.
Di una cosa però sono certo e cioè che il richiamo alle origini, alle proprie radici non mi abbandonerà mai.
Già ora, quando faccio ritorno a casa dalle vacanze, in prossimità della prima indicazione stradale che riporta il suo nome, esplodo nella frase tipo “Paesello caro, sono tornato da te!”; dovessi, fra qualche anno, tornare da uno stage presso gli Universal Studios Hollywood di Los Angeles (il mio sogno) potrei recitare la stessa esclamazione in americano, ma il mio affetto resterebbe immutato nel tempo.
Comunque sia, oggi non cambierei la mia vita in campagna con quella di un ragazzo che vive in città, così come non lo vorrebbe il gallo di Assunta, che puntualmente all’alba sveglia tutto il vicinato.
Tutto mi allieta in questo luogo minuscolo, nel PAESE DI MIA MADRE ed il MIO PAESE, il cui nome orgogliosamente dico essere: QUARTIANO!
Gabriele Baroni 1F